Descrizione e approfondimenti
La grande statua acefala della dea lgea è stata messa in luce nel settembre 1915 dal Soprintendente Paolo Orsi, presso piazza Duomo, nelle fondamenta dei ruderi della Chiesa dei Minorili distrutta dal sisma del 1908.
Così la descrisse il grande archeologo: “Essa misura in altezza m. 1,78 vale a dire che era alquanto maggiore del vero. Fu trovata adagiata. Il piccolo colosso rappresenta lgéa nel comune schema ellenistico; cioè una matronale figura muliebre, la quale porta tutto il peso del corpo sulla gamba destra rigida, in contrasto con la sinistra rilasciata ed in riposo. La dea veste un chitone a fitte pieghe. Sopra il chitone è buttato il mantello che copre obliquamente la parte centrale del corpo ed è ammassato sul braccio e sulla spalla sinistra, formando cuscinetto ad una grossa serpe che scende a bandoliera attraverso il torace e passa sul dorso; di essa mancano le estremità. Manca altresi tutta la spalla destra della figura che era di riporto come dimostra un vasto piano verticale con grande foro al centro per il perno metallico. E di riporto dovette essere anche la testa di cui rimane solo la base del collo mobile innestata in un cavo aperto al sommo del torace. La statua era certamente decorativa sebbene anche il rovescio, sia lavorato con altrettanta cura del diritto”.
Insieme alla grande statua di lgéa vennero messi in luce:
- una spalla sinistra panneggiata di statua maschile, identificata con il padre di lgéa, Asclepio (Foto 2);
- un grande frammento di architrave marmoreo appartenente forse ad un portico (Foto 3);
- due capitelli marmorei di ordine composito gemelli, con doppio ordine di foglie di acanto distribuite attorno alla canestra da cui spuntano superiormente le volute (Foto 4).
Nel sito di rinvenimento vennero documentati consistenti resti di strutture murarie antiche attribuibili a diversi edifici:
- le fondazioni di una muraglia di età ellenistica interpretabile come la cinta di fortificazione mamertina ;
- i resti di una casa di età romana repubblicana incendiata e poi ricostruita in età imperiale .
Lo stesso archeologo ipotizzò la presenza a fianco delle fortificazioni, che seguivano l’antico corso del torrente Portalegni, di un “Asclepieion”, che era un santuario-ospedale dove si ospitavano i malati e si utilizzava no i loro sogni ai fini della guarigione. Asclepio era figlio di Apollo e per questo egli ed lgéa sono denominati “protettori della città” nella iscrizione esposta in questa sala. Si tratta di una dedica ad Asclepio ed lgéa iscritta su una base in marmo, a forma di plinto di colonna, conservata prima del sisma del1908 nella Chiesa della Cattolica che sorgeva vicino al Duomo. Ma l’ipotesi di Orsi non è l’unica interpretazione possibile sulla presenza della statua nella città romana . Il fortunato rinvenimento si può, infatti, collegare anche con l’esistenza a Messana di collezioni d’arte che decoravano le case di ricchi cittadini, tra i quali C. Heius Mamertinus di cui ci parla Cicerone nella sua arringa contro le ruberie del governatore Verre negli anni 73-71 a. C. .
Nell’area circostante il Duomo sono state messe in luce strutture edilizie di domus romane decorate da pavimenti con mosaici, dei quali solo uno è stato rimosso ed è conservato nel nostro Museo mentre gli altri sono stati coperti dalle fondazioni dei palazzi costruiti dopo il 1908.