Descrizione e approfondimenti
L’Adorazione dei pastori, chiamata nei secoli passati anche «Presepe», è stata eseguita da Polidoro Caldara da Caravaggio con la collaborazione dell’allievo Stefano Giordano. È una tavola dipinta, realizzata per la chiesa messinese, non più esistente, di Santa Maria dell’Altobasso tra il 1533 e il 1535.
Nell’Adorazione dei pastori i personaggi sono disposti su un terreno roccioso a gradoni, con erbe e sassi in primo piano. In lontananza, a sinistra, si vede il corteo dei Magi con cavalli e cammelli presso un tempio antico. Questo è sovrastato, in prospettiva arretrata, da un edificio monumentale in rovina che definisce la linea dell’orizzonte contro il cielo. A destra è una veduta di città sullo sfondo di alture collinari e un rilievo montano.
La scena in primo piano è ambientata tra i resti di un edificio antico con colonne e pilastri scanalati e capitelli ionici. In mancanza del tetto, tre travi di legno incrociate formano una sorta di pergola. Sulla pergola, e sulla sommità dell’edificio diroccato, angeli musicanti siedono con pose vivaci e ardite, mentre cantano e suonano sbirciando la scena sottostante, dove la Madonna solleva un drappo bianco e mostra il Bambino appena nato ai numerosi pastori accorsi a vederlo.
Polidoro Caldara nasce a Caravaggio (Bergamo) verso il 1499 e conclude la sua esistenza a Messina verso il 1543. Comincia come garzone nella bottega di Raffaello e presto si avvia verso le prime forme di pittura di “maniera”: un’evoluzione dello stile classico rinascimentale che intende dare più risalto all’espressione del sentimento anche attraverso le costruzione delle scene, le pose dei personaggi e i panneggi. Arriva a Messina nel 1528, dove assume il ruolo di maestro progettista per l’abbellimento cittadino.
Secondo le fonti antiche, l’opera sarebbe rimasta incompiuta alla morte di Polidoro e ultimata dalla bottega, ma questa notizia non collima con la data di morte del pittore, che avvenne molto più tardi, verso il 1543. Il periodo di esecuzione, da una comparazione con le altre opere e i disegni dell’artista, si dovrebbe collocare piuttosto tra il 1533 e il 1535.
L’analisi stilistica ci conferma che l’opera è il frutto di una collaborazione tra Polidoro e l’allievo Stefano Giordano. A quest’ultimo spetterebbe la finitura di alcuni personaggi nei piani più vicini, evidentemente lasciati incompiuti o abbozzati dal maestro: la mano di Giordano è infatti riconoscibile in una certa rigidità e secchezza nelle figure dei pastori in primo piano e nel San Giuseppe.
Perfettamente in linea con la migliore produzione di Polidoro è invece il paesaggio con il corteo dei Magi [dettaglio in alto a sinistra] e il gruppo di angeli [fig. 1 dettaglio con angeli],
dei quali ci restano degli schizzi preparatori, forse le prime idee compositive tracciate velocemente dal pittore.
L’esercizio sull’arte antica e lo studio delle anatomie sotto la guida di Raffaello e degli stessi compagni di bottega, hanno portato Polidoro a raggiungere una straordinaria perizia disegnativa, capace di rendere vitali ed espressivi i personaggi con pochissimi tratti.
A questo si deve aggiungere una grande capacità di osservazione della realtà, che l’artista ha affinato con riprese dal vero di scene quotidiane: schizzi con viandanti, ragazzi, lavandaie, adunanze di folle per miracoli, martirii, cerimonie religiose.
Inoltre lo studio dell’architettura romana e dei rilievi antichi ha nutrito la sua fantasia facendone un grande ideatore di repertori decorativi di soggetto classico,
che ha utilizzato anche a Messina in interventi architettonici, come il portale laterale del Duomo e nelle architetture effimere progettate per la visita dell’imperatore Carlo V nel 1535.
L’interesse per le rovine antiche e gli apparati decorativi classici, come l’interpretazione in chiave espressiva del classicismo raffaellesco, sono stati sviluppati dagli allievi diretti messinesi, Stefano Giordano e Mariano Riccio, ma anche dal lungo seguito di Polidoro in tutta l’Italia meridionale.