Collezione: Settecento
Il XVIII secolo si apre a Messina in un clima di rinnovamento e di fiducia, superati gli anni bui della dura repressione spagnola, seguita alla rivolta del 1674-78. La città cerca di riconquistare l’antico splendore e l’arrivo di Filippo V di Borbone, re di Spagna e delle due Sicilie, è salutato con particolare favore. I successivi governanti favoriscono la ripresa economica della città, rivitalizzando, tra l’altro, l’attività commerciale del porto. Nel 1727 nasce la Compagnia di Commercio finalizzata alla produzione e diffusione di stoffe d’oro, d’argento e di seta.
Nel 1729 viene fondata l’Accademia Peloritana dei Pericolanti, istituzione di primaria importanza nell’ambito della vita culturale cittadina. Nel corso degli anni il Teatro La Munizione, situato nei locali dell’antica Armeria, è ampliato e abbellito e riprende anche l’attività musicale della Cappella Senatoria. Tale rinascita economica e culturale viene, purtroppo, fortemente condizionata dalla peste del 1743 e dal terremoto del 1783.
Nei primi decenni del secolo, fino all’epidemia della peste, opera a Messina un gruppo di pittori e frescanti che rinnova la significativa tradizione della cultura artistica locale, interrotta negli anni della rivolta antispagnola. Le chiese si abbelliscono di preziose decorazioni in stucco o in tarsie marmoree e di sontuosi affreschi dalle luminose tonalità cromatiche, legati alle scuole romana e napoletana, in maggior parte distrutti.
Tra i rappresentanti della scuola messinese, Filippo Tancredi crea il nuovo linguaggio formale, come dimostra nelle decorazioni di varie chiese messinesi e palermitane. Legate alla cultura marattesca si rivelano le tele con la Natività, la Visitazione e la Sacra Famiglia con santi carmelitani, nelle quali traspare la qualità dei colori, per cui il pittore era famoso.
Anche la maniera di Giovanni Tuccari, espressa con una cromia ricca e ricercata, riflette i più moderni orientamenti formali, come nel ciclo per S. Maria delle Grazie (Ester e Assuero, Davide e Abigail, Il Ritrovamento di Mosè, il Giudizio di Salomone e il perduto Passaggio del Mar Rosso) e nella Santa Lucia dalla chiesa di Sant’Agata dei Minoriti.
Tra i maggiori esempi di decorazione messinese erano i perduti affreschi per la chiesa di Montevergine del 1736 di Letterio Paladino. La grazia leggera della sua maniera, in consonanza con la tradizione napoletana, da Luca Giordano a Solimena e De Mura, traspare nella bella figura alata, a lui attribuita. Una testimonianza di studi “accademici” è costituita dalla serie di tele con nudi maschili in varie pose.
Di Antonio Filocamo, fondatore con i fratelli Paolo e Gaetano di un’ Accademia del Disegno e del Nudo, si ricordano gli affreschi delle chiese di San Gregorio e di Santa Caterina Valverde, che rivelano la conoscenza dei maestri romani e napoletani, a lungo studiati dal pittore, allievo del Maratta a Roma. Legate al classicismo romano sono anche le tele con l’Ecce Homo e San Francesco di Paola in estasi dinanzi al Crocifisso e ai dolenti
Tra le opere di maggior richiamo del Museo si annovera la sontuosa Berlina del Senato messinese, che costituisce una tra le più alte testimonianze del glorioso passato della città. Costruita nel 1742, la carrozza presenta una sfarzosa decorazione ad intaglio realizzata da Domenico Biondo e dipinti, di raffinato cromatismo, eseguiti da Letterio Paladino.
Preziosi esempi di artigianato locale sono anche i seggi vescovili in legno intagliato e dorato e tra le famose opere di argentieri messinesi spicca il paliotto, dalla complessa impaginazione, raffigurante la Madonna di Montalto.
Particolare significato hanno le opere di pittori non messinesi come il napoletano De Mura e Sebastiano Conca, del quale si espone la tela con La Morte di Sant’Andrea Avellino, considerato un testo esemplare, a cui si ispirarono molti tra i protagonisti della pittura del Settecento in Sicilia. Recentemente attribuito a Pietro Bianchi (detto il Creatura), allievo di Benedetto Luti, è esposto inoltre il dipinto: San Francesco di Paola attraversa lo Stretto di Messina sul proprio mantello.
Con il palermitano Giuseppe Crestadoro rinasce una vivace e originale linea di pittoricismo, legata anche alla tradizione locale.