Collezione: Seicento
Agli inizi del Seicento l’indirizzo pittorico dominante è quello della tarda maniera “internazionale”: uno stile di ampia diffusione, nato sulla base della tarda produzione di Raffaello e Michelangelo e dei rispettivi seguaci, con i successivi apporti della pittura controriformata tosco-romana e, in particolare nel meridione, di quella fiamminga e iberica. Si tratta di una miscela di componenti stilistiche caratterizzata da vivacità compositiva, colori chiari e cangianti, sfumati leggerissimi, panneggi “vaporosi” e sfaccettati: uno stile particolarmente adatto a rappresentare visioni paradisiache e apparizioni divine. Il maggiore interprete di questo linguaggio nei primi anni del Seicento a Messina fu Antonio Catalano l’Antico.
La venuta di Caravaggio, a Messina nel 1608-1609, opera uno scardinamento di questo gusto, già in parte modificato dalla normativa sulle immagini teorizzata dal Concilio di Trento, che puntava ad imporre nell’arte, o almeno incoraggiare, una maggiore chiarezza didascalica ed aderenza alle Sacre Scritture. Caravaggio rinforza dunque una tendenza già in atto, quella che cercava di superare le artificiosità della “maniera”, e lo fa puntando direttamente alle «cose naturali», anche utilizzando la luce come mezzo primario di svelamento e costruzione dei volumi, oltre che di rivelazione del divino.
Tra i primi riflessi in Sicilia della rivoluzione caravaggesca si devono menzionare le opere di Filippo Paladini, del quale è esposto il San Francesco riceve le stimmate, del 1610-1614 circa, mentre i veri interpreti del caravaggismo, attivi a Messina ma inseriti nel più ampio contesto siciliano e meridionale con Napoli come capitale culturale, furono Mario Minniti e Alonzo Rodriguez.
L’influsso del Caravaggio raggiunge il suo apice tra il secondo e il terzo decennio del secolo. Nel quarto decennio, ossia dal 1630 in poi circa, il gusto comincia a cambiare e gli stessi seguaci locali del pittore lombardo riscoprono colori chiari e toni freddi, grazie ad una ripresa dei valori della pittura veneta unita all’apporto dei fiamminghi arrivati in Italia, come Rubens e Van Dyck o, in particolare a Messina, Jan Van Houbracken.
Quasi in coincidenza con la data di uno dei dipinti messinesi di Van Houbracken, il Rinvenimento dei corpi dei Santi Placido e Compagni del 1635, tornano a Messina da Roma, rispettivamente nel 1634 e nel 1638 circa, Antonio Barbalonga Alberti e Giovan Battista Quagliata. I due pittori importano i nuovi indirizzi di gusto dominanti nella capitale: il classicismo e il barocco, che segneranno tutta la pittura della seconda metà del secolo.
Barbalonga, allievo e collaboratore del Domenichino, distilla dalla dimensione ideale classicista del maestro una formula astratta e fredda, ma ha avuto il merito di far conoscere e apprezzare a Messina i modelli dei grandi classicisti emiliani come Annibale Carracci, Guido Reni e, appunto, Domenichino.
Giovan Battista Quagliata crea uno stile che, partendo dalle ultimi esiti del naturalismo caravaggesco – napoletano e francese soprattutto – e poi dalla corrente classicista e dalla coeva pittura palermitana di Pietro Novelli, vi rafforza, con risultati a volte un po’ grevi, la monumentalità, il dinamismo e la vivacità coloristica.
L’ambiente culturale messinese di metà secolo è dunque molto vivace ed aperto alle novità, se si pensa anche che in quegli anni, dal 1646 circa, si forma una delle più importanti gallerie d’arte del meridione, quella del principe Antonio Ruffo, con dipinti di Ribera, Mattia Preti, Rembrandt, Nunzio Rossi, Jacob Jordaens, Abraham Brueghel e molti altri. Tra gli arrivi di artisti forestieri a Messina, ricordiamo il napoletano Nunzio Rossi, in città dal 1646 circa. Più tardi sbarca l’olandese Abraham Casembrot, autore di vedute e paesaggi marini di successo, tra i quali una Veduta di Messina.
La pittura locale esprime invece personalità come Domenico Marolì e Onofrio Gabrieli, entrambi con esperienze formative in centri del continente, tra i quali Venezia, ed entrambi interpreti di uno stile che mette al centro una stesura pittorica sempre più libera: densa di colore e con effetti atmosferici alla veneta il Marolì; aerea e sfrangiata il Gabrieli, raro pittore del quale il Museo possiede una sola opera, purtroppo molto rovinata, la Madonna del Soccorso.
Nella seconda metà del secolo e fino alla rivolta antispagnola del 1674, la scena artistica messinese è dominata dalla poliedrica personalità di Agostino Scilla, scienziato naturalista e filosofo. Pittore di orientamento classicista, già allievo del Barbalonga e maturato sugli esempi romani di Andrea Sacchi, diventa anche specialista nel genere della natura morta grazie alla capacità di coniugare la visione scientifica con lo sguardo da artista. La sua formula in equilibrio tra pittoricismo nella stesura e misura classica nella composizione rappresenta uno degli apici della pittura messinese del secolo.