Collezione: Rinascimento
Nei primi anni del Cinquecento, gran parte della produzione pittorica messinese è ancora dipendente dai modelli di Antonello da Messina, coesistendo con esempi di importazioni dall’estero: molto apprezzate erano quelle nordiche, fiamminghe e olandesi, delle quali il Museo conserva diversi esemplari databili tra XV e XVI secolo, come la Deposizione e simboli della Passione, o nel primo quarto del XVI secolo, come il Trittico dell’olandese Jacob Cornelisz. Van Oostzanen, datato 1503, o il San Giovanni Battista e storie della sua vita e la Deposizione dalla Croce, attribuiti rispettivamente ai fiamminghi Jan de Beer e Colijn de Coter. Quest’ultimo, nella sua Deposizione, si ispira nella struttura compositiva ad un importante prototipo di Rogier van der Weyden, raggiungendo esiti di notevole verosimiglianza nella resa dei tessuti e delle epidermidi, con una stesura smaltata e lucente.
Tornando alla produzione italiana, se nel primo decennio del secolo la perduta tavola con il Transito della Vergine di Salvo d’Antonio, nipote di Antonello, mostra già aggiornamenti sulle principali correnti pittoriche del tempo, spaziando tra influssi veneziani, centro-italiani e napoletani, è tra il secondo e il terzo decennio del Cinquecento che i caratteri artistici quattrocenteschi lasciano finalmente il passo alle correnti innovatrici provenienti dal continente.
Per tutto il nuovo secolo, gli esiti della cultura figurativa messinese sono stati condizionati dall’arrivo in città di pittori forestieri che hanno formato altrettante scuole artistiche locali: da Cesare da Sesto nel 1513, a Polidoro Caldara da Caravaggio nel 1528 (entrambi lombardi), a Deodato Guinaccia, napoletano, nel 1570 circa.
Cesare da Sesto nel 1513-14 e poi nel 1517, con l’Adorazione dei Magi (già nella chiesa messinese di San Nicolò dei Gentiluomini e oggi a Napoli, Museo di Capodimonte) e la Madonna col Bambino tra i Santi Giovanni Battista e Giorgio (già nell’oratorio di San Giorgio dei Genovesi e oggi a San Francisco, De Young Memorial Museum), fa conoscere in Sicilia i modelli di Leonardo, determinando una lunga ondata di adesioni, rimandi e citazioni.
Nello stesso tempo comincia ad affermarsi il messinese Girolamo Alibrandi.
Alibrandi riesce a fondere le basi antonelliane della sua prima formazione, forse presso Salvo d’Antonio, con elementi nordici – tra Dürer e i fiamminghi – ma anche catalani, veneti e lombardi, assimilati probabilmente in un soggiorno tra Veneto e Lombardia. Questa opportunità gli permette di conoscere meglio la pittura di Leonardo, soprattutto in relazione al tema della Madonna col Bambino, tanto che Alibrandi diventa, insieme a Cesare da Sesto, uno dei più importanti interpreti e tramiti dei modelli leonardeschi in Sicilia.
Come avvenne per la pittura, anche la produzione scultorea messinese del Cinquecento fu segnata dalla presenza in città di personalità artistiche carismatiche, capaci di conquistare la committenza e quindi di orientare il gusto delle nuove generazioni di artisti.
Antonello Gagini, nato a Palermo ma di origini bissonesi e arrivato a Messina già nel 1498, ebbe un importante ruolo di tramite nell’introduzione del rinascimento maturo in Sicilia: un ruolo che, in fondo, fu simile a quello di Antonello da Messina per il primo rinascimento e la cultura prospettica quattrocentesca.
Proprio agli esordi del secolo, nel 1500, gli viene commissionata la Madonna degli Angeli per un altare della chiesa messinese di San Francesco d’Assisi. L’opera finita fu consegnata più tardi, nel 1508, anno di conclusione anche del soggiorno messinese dell’artista. Nonostante lo stato di conservazione compromesso, rappresenta uno dei più alti raggiungimenti della prima produzione del Gagini, dove la sapienza del panneggio mostra più di un debito nei confronti di Antonello da Messina, mentre la naturalezza delle pose e la morbidezza del modellato sono già pienamente inseriti nel classicismo rinascimentale.
Risente in parte dell’influsso classicista del Gagini, pur mantenendo un modellato sottile e acuto, dalle linee rigidamente ancorate al gusto quattrocentesco della sua formazione, la produzione del carrarese Giovan Battista Mazzolo, attivo a Messina dal 1512 al 1554, autore della Santa Caterina d’Alessandria, proveniente da Santa Lucia del Mela, come probabilmente del Monumento funerario dell’ammiraglio Angelo Balsamo, realizzato per la chiesa di San Francesco d’Assisi e già attribuito ad uno scultore messinese, Antonello Freri (Messina, 1478-1536). La bottega del Mazzolo, con il figlio Giovan Domenico, avrebbe colto i successivi sviluppi del gusto in direzione manieristica sulla scia di Polidoro Caldara da Caravaggio e di Giovan Angelo Montorsoli.