Collezione: Manierismo
Il caposcuola della corrente pittorica manieristica a Messina è stato Polidoro Caldara da Caravaggio, la cui lezione fu molto incisiva e duratura, perdurando fin quasi alla fine del secolo. Allievo di Raffaello a Roma e a Messina dal 1528 fino alla morte, della sua molteplice attività messinese restano rari disegni e dipinti su tavola, tra i quali l’Adorazione dei pastori, realizzata con la collaborazione dell’allievo Stefano Giordano.
Polidoro esprime le inquietudini del suo tempo rompendo le regole della misura raffaellesca, ma per ritrovarne l’armonia in una rappresentazione vivida ed espressiva, dal segno energico e sintetico. L’espressionismo polidoresco divenne una cifra riconoscibile di gran parte della pittura della “maniera” meridionale, gettando le basi dello stile internazionale della seconda metà del secolo. Tra gli allievi messinesi di Polidoro ricordiamo anche Mariano Riccio, che trasmise i suoi insegnamenti al figlio Antonello Riccio, molto attivo a Messina nella seconda metà del secolo.
Il napoletano Deodato Guinaccia, a Messina dal 1570 circa, fu un interprete della cosiddetta maniera internazionale, rappresentando un precedente importante per i protagonisti della scuola pittorica messinese a cavallo tra Cinque e Seicento, come Antonio Catalano l’Antico e Giovan Simone Comandé. Nello stile di Guinaccia l’espressionismo ereditato da Polidoro assume accenti estetizzanti per l’uso frequente di colori cangianti e dalle tonalità delicate, in linea con il gusto della cosiddetta “maniera tenera” in auge a Napoli.
Parallelamente alla presenza di queste personalità, si registra l’arrivo di opere da importanti centri artistici italiani, soprattutto verso la fine secolo, quando la Chiesa, segnata dal duro confronto con la Riforma protestante, elabora alcune norme per il controllo delle immagini religiose, invitando gli artisti ad un maggiore rispetto delle Sacre Scritture nei soggetti e nelle iconografie e a far prevalere i valori di semplicità, chiarezza e decoro formale. In quest’ottica assume particolare rilievo l’arrivo negli ultimi decenni del secolo, a Messina e in provincia, dei dipinti di Scipione Pulzone da Gaeta e di altri artisti di cultura tosco-romana come Alessandro Fei e Alessandro Allori, autore della Madonna dell’Itria del 1590.
Per la scultura invece, a metà Cinquecento, la scena è dominata dal fiorentino Giovan Angelo Montorsoli, collaboratore di Michelangelo Buonarroti, il cui influsso a Messina durerà ben oltre la sua permanenza di dieci anni.
Montorsoli nel 1547 è chiamato a Messina dal Senato cittadino per realizzare la Fontana di Orione, che doveva celebrare la costruzione del primo acquedotto, ma anche esaltare l’imperatore Carlo V nel suo ruolo di benefattore della città, che nel Cinquecento diventerà un importante baluardo per la difesa del mediterraneo e della cristianità dagli attacchi musulmani.
In seguito, tra le commissioni più prestigiose, Montorsoli progetta la Lanterna di San Raineri, la chiesa di San Lorenzo, l’Apostolato del Duomo e la Fontana del Nettuno (1557), della quale il Museo conserva le statue originali di Nettuno e Scilla. Tra le altre opere di Montorsoli ricordiamo la fontana della Dama col Liocorno, del 1551, un tempo collocata nella salita di San Paolo, i rilievi della Trinità e del Noli me tangere, provenienti dalla chiesa di San Domenico, il frammento di fontana con Tritoni e stemma.
Montorsoli elabora una formula basata sugli insegnamenti e gli esempi di Michelangelo, soprattutto in relazione alla monumentalità e al vigore volumetrico ed espressivo, cogliendo nello stesso tempo, come già Polidoro prima di lui, gli umori della sua epoca. I valori rinascimentali sono infatti messi in crisi da nuove esigenze di rappresentazione dei gesti, delle emozioni e del movimento, che tendono a prevalere sulla misura classicheggiante, mentre si diffondono le figure “serpentinate”, ossia contorte ad “s” e in equilibrio precario, di altissima valenza estetica ed espressiva.
All’ambito del Montorsoli appartenne lo scultore messinese Rinaldo Bonanno, autore del rilievo con la Natività, commissionato nel 1569 e già nella chiesa messinese di Sant’Agostino. Bonanno eseguì anche il Monumento funerario di Antonio Marchese e Antonia Barresi (1572), proveniente dalla chiesa di Santa Maria di Gesù Inferiore, e un altro monumento gemello dedicato ai genitori del committente (conservato in uno dei depositi del Museo): entrambi i monumenti erano stati però progettati da Andrea Calamecca, maestro carrarese attivo a Messina nella seconda metà del secolo e caposcuola di un’importante bottega di scultori (tra i quali il nipote Lorenzo Calamecca), in auge fino al secolo successivo. Agli eredi della bottega del Calamecca si potrebbe ascrivere ad esempio il Monumento funebre di Francesca Lanza Cybo, in bronzo e rame dorato, proveniente dalla chiesa di San Francesco d’Assisi, del 1618 circa.